Ho conosciuto da vicino Gianfranco Varini solo nel marzo 2007 e me ne rammarico.
Una persona così libera dagli schemi, così curiosa di sperimentare, così presa dal divertimento della professione è fonte inesauribile di stimolo e vitalità.
Un maestro senza cattedre, un protagonista che non aveva bisogno di riflettori.
Nella professione era continuamente attratto dai linguaggi più diversi e la sua inarrestabile ricerca era alimentata da una autentica insofferenza per il punto fermo, per la chiusura finale.
Non c’è un suo lavoro che presenti due facciate identiche, ogni angolo era pensato da una infinità di punti di vista. Ha sperimentato i materiali più vari e ogni volta con la curiosità e l’entusiasmo del neofita, nonostante l’esperienza e la profonda competenza.
Una decina di giorni fa al telefono scherzava sulla necessità di ricominciare tutto da capo, di scrivere un “De Architectura Nova” per mano di Gianfrancus Varinus Pollio. Se l’avesse fatto sarebbe stato il manuale più originale, meno scontato, più divertente che l’architettura abbia conosciuto.
In un suo biglietto di auguri di fine 2009 si ritraeva nell’atto di disegnare contemporaneamente un progetto di architettura con la mano sinistra e una veduta con la destra, a commento il motto “TEMPUS FUGIT”.
Che fosse questa l’essenza della sua incessante attività?
Non lo so, ma a me piace ricordare anche la sua leggerezza e lo farò attraverso il biglietto d’auguri di quest’anno: tre farfalle si appoggiano sulla sua testa anche da rovesciata e, sotto, un commento beffardo “i casi della vita”.
Ciao Gianfranco, adesso sai tutto.
Gloria Negri