Per costruire bisogna prima pensare architettura.
Per pensare architettura bisogna prima imparare a conoscere l’architettura.
La conoscenza dell’architettura, contrariamente ad altre discipline alle quali siamo educati durante il periodo degli studi, è personale e soggettiva: la casa, le scuole, i luoghi di lavoro, le città, i paesaggi, sono i bagagli culturali acquisiti dalla propria esperienza nel corso degli anni. Un esperienza costruita su esempi reali che, spesso, tutto si possono definire fuorchè architettura, sul mi piace o non mi piace, sul funziona o non funziona. Pochi si chiedono quale sia la logica di un edificio e ciò che è in grado di comunicare in quanto linguaggio: se ci si ponesse con molta semplicità questa domanda l’immagine delle città contemporanee sarebbe ben diversa.
Al contrario, l’architettura che viene celebrata dai critici e dai media è un’architettura spettacolare, che deve far notizia, arricchita di tendenze stilistiche frettolosamente assimilate e incautamente riportate nei progetti. L’architetto si atteggia a star che produce architetture autorefenziali, chic, velocemente consumate e altrettanto rapidamente dimenticate. La simultaneità resa possibile dall’evolversi della tecnologia dei mezzi di informazione impedisce così l’assimilazione della conoscenza dell’architettura, riducendo la possibilità di elaborazione critica del pensiero e delle idee del progetto architettonico. L’enorme distanza tra questi due atteggiamenti della nostra realtà non facilita certamente il pensare architettura.
La miglior pratica di conoscenza dell’architettura la facciamo vivendola quotidianamente. L’architettura organizza gli spazi coinvolgendo sensi ed immaginazione: luce, suono, colore, materia, le cose intorno a noi, sono in grado di comunicare idee e sensazioni. L’efficienza della comunicazione dipende dalla chiarezza del linguaggio utilizzato, oltre che dalla capacità del ricettore di comprendere il messaggio: l’architettura può fare molto nell’educare a pensare architettura. Spazi poveri e insignificanti generano nuovi spazi ancora più poveri e inutili, spazi vuoti di valori pensati solo per l’autocelebrazione dell’autore generano cloni insignificanti in una rapida degenerazione della qualità architettonica e delle nostre città contemporanee. Le scuole di architettura hanno il compito di insegnare agli architetti di domani a pensare architettura: a loro volta, con le loro concrete opere architettoniche, urbane, paesaggistiche e territoriali essi hanno il compito sociale di diffondere una corretta conoscenza dell’architettura alle persone. Errori compiuti a monte possono originare disastri a valle; i disastri a valle allontanano l’architettura dalle persone e dalle idee, in un progressivo annullamento del linguaggio architettonico.
Il rapporto tra progetto e costruzione ridiviene, nella sua umana semplicità, il fine ed il mezzo del pensare architettura, in una realtà libera da astratti pregiudizi disciplinari o dai generici compiacimenti del magnifico segno sulla carta incapace di convertirsi in materia concreta. L’architettura è sempre materia concreta ed il progetto è lo strumento principale di cui si dispone per costruirla. Un’architettura fatta di segni forti ma sobria, alla ricerca di una qualità diffusa, del benessere di chi lo vive, del rispetto dell’ambiente, urbano o naturale che sia, capace di porre al centro del progetto il senso dei valori rispetto al quale si vuole vivere la vita e non solamente l’aspetto estetico o tecnico delle cose, pensata e costruita giorno dopo giorno dalle persone per le persone.
Quel pensare architettura che le pagine di questa rivista non si stancheranno mai di diffondere. Imparare a pensare architettura significa prima imparare a comprendere le cose intorno a noi e stabilire le relazioni tra loro, significa tenace e paziente lavoro, significa coraggio e innovazione, significa imparare a dare un senso al progetto. Per progettare occorre prima pensare, per pensare occorre prima conoscere.