Torna al Dossier n.1Con “Novellara” si inaugurano i “dossier” di Architettare, una serie di volumi della rivista che trattano del territorio emiliano-romagnolo. Proprio come in un dossier il luogo urbano e ambientale sarà osservato nelle sue modificazioni raccontandolo nelle peculiarità – più o meno profonde o interessanti- capaci di raccontare attraverso il ristretto numero delle pagine della rivista la natura e l’essenza del luogo stesso.
Nel 2006 si era pensato ad una nuova rivista per gli architetti della provincia reggiana con l’obiettivo di diffondere la conoscenza di una cultura architettonica tra le persone, cultura che la nostra realtà non ha mai approfondito in modo sincero. I pensieri erano andati subito al territorio di provenienza per raccontarlo senza l’enfasi scandalistica o, peggio ancora, celebrativa, che caratterizza ormai giornali e riviste di settore e non, con l’unico intento di costruire la notizia o di favorire un qualche amico. Dopo cinque  numeri tematici che hanno raccontato in modo obiettivo di un’architettura possibile, del rapporto esistente tra progetto e costruzione, toccando solo in alcuni casi (utili ad affrontare le diverse declinazioni del tema) la realtà locale, ecco dunque un primo “dossier” dedicato al territorio.

Un territorio ricco economicamente e culturalmente con una forte propensione – nel recente passato molto più di oggi – ad un progresso sociale costruito dalle persone per le persone. Un territorio tuttavia decisamente pragmatico nell’affrontare l’evoluzione dell’ambiente costruito, naturale o urbano che sia, orientato più sui problemi cogenti che su un obiettivo di lunga durata per il progresso della comunità. Un tessuto sociale, economico e politico che non mai creduto fino in fondo al carattere sociale  dell’architettura, lasciando alla logica del mercato il governo di un processo determinante per l’identità di un territorio.
Un’architettura lontana dall’interesse pubblico, gioco autoreferenziale per gli architetti, di speculazione per le imprese, di contrattazione per le amministrazioni pubbliche. L’elevato consumo del territorio e delle limitate risorse disponibili, la scadente qualità degli spazi dell’abitare fino a quelli più squisitamente pubblici, ma soprattutto
l’assenza di una riconoscibilità, sono ormai evidenti a tutti. Un territorio frantumato da un’edificazione diffusa di superficiali edifici vernacolari spesso uguali tra loro, costruiti con l’ingenuità che un orpello decorativo o un colore di facciata possano costruire un luogo urbano.
Non esiste dunque speranza per la trasformazione della città? Certamente che esiste. Basta cercare di prestare ascolto alle possibilità di evoluzione dello spazio urbano, che sono molteplici, pensare ad una forma dello spazio della città che possa creare relazioni tra i diversi luoghi e tra gli spazi stessi ed i cittadini.
Per trasformare il salotto di casa poco interessante e magari poco luminoso, pensiamo ad un arredamento confortevole o esteticamente piacevole, dipingiamo le superfici, lo rendiamo più vivo: utilizziamo strumenti emozionali e percettivi per sopperire alla mancanza di vitalità dello spazio architettonico.
Ma la città delle persone non è un salotto. La scala della relazione tra le architetture non è la medesima del progetto architettonico.
Oggi è’ chic fare superficiali operazioni di maquillage abbinate a campagne di comunicazione, è di moda mettere una bella panchina e un bel paletto, fare spazio a distese di tavolini per bar, pub e ristoranti, pensando che la vitalità di uno spazio sia la condizione irrinunciabile di una sua vivibilità: non esiste alcuna differenza tra questi interventi e le costruzioni, prive di qualità dello spazio architettonico, che ci sono proposte con una bella tinta di facciata e insignificanti decorazioni.
Ci si pone come falso scopo la riqualificazione di un singolo spazio o luogo, ci si concentra sulla situazione specifica piuttosto che sulle relazioni tra le diverse situazioni. E’ necessario ricominciare invece a pensare alla tranquillità ed alla quiete degli spazi della città, alla relazione tra gli stessi, all’influenza reciproca tra città ed abitanti, alla qualità dell’abitare, che è in grado, con il passare del tempo, di rendere interessanti i luoghi più superficiali: diventa un presidio allo spazio urbano, alla sua conservazione
o alla sua modificazione. E’ il cittadino che deve fare la città e non la città che deve trasformare il cittadino.
Novellara, pur con strumenti di pianificazione complicati e poco incisivi (ma sono quelli che ha disposizione) ha posto le basi per un’evoluzione della città, più profonda di quella di un banale maquillage. Ha posto le basi di una città per le persone. Ha usato lo strumento concorso di progettazione per pensare un campus scolastico per poi costruirlo: non, come spesso si fa da queste parti, indire un concorso per lasciare tutto immobile.
Memoria e innovazione coesistono nell’idea di sviluppo della città. Vuole investire, come altre virtuose provincie italiane fanno da qualche tempo, sull’architettura come strumento di relazione tra la città ed i suoi cittadini.
La qualità architettonica e urbana degli interventi in programma non è tutta uguale (ed è valutabile autonomamente dal lettore): la cultura architettonica non cresce da un giorno all’altro, ma le differenze ne stimolano la crescita. Speriamo in una crescita rapida.